MINIMALISM: IL DOCUFILM SU CIÒ CHE È DAVVERO IMPORTANTE

Il periodo natalizio permette di tirare un respiro dalle incombenze quotidiane e di dedicarsi a ciò che ci piace davvero: da qualche tempo desideravo vedere “The Minimalism: A Documentary About the Important Things” su Netflix, finalmente l’ho visto e ve lo consiglio!

“Stuff, stuff, stuff…” (Cose, cose, cose…) quante volte è ripetuta questa parola nel film? Tantissime! Innumerevoli! Troppe! Una vera litania che causa una sorta di repulsione al consumo e agli oggetti già dalle prime inquadrature. Il film si apre infatti con i noti video del Black Friday, in cui tantissimi Americani si riuniscono fin dalle prime ore del mattino per essere i primi a varcare la soglia dei loro giganteschi iperstore. Una sorta di gara a chi riesce ad accaparrarsi più pezzi possibile, a costo di spintonare altri clienti o sottrarre il prodotto dalle mani di un bambino.

Il regista del docufilm, Matt D’Avella, segue Joshua Fields Millburn e Ryan Nicodemus, fondatori del blog The Minimalists, che intraprendono un lungo viaggio negli Stati Uniti per promuovere l’uscita del loro libro. Alle considerazioni dei due protagonisti si intervallano interventi di personaggi noti, esperti e studiosi, molti dei quali hanno fatto del minimalismo uno stile di vita.

Ma cos’è il Minimalismo?

Il Minimalismo è una delle principali tendenze artistiche sviluppatesi negli anni Sessanta. Il termine fu utilizzato per la prima volta nel 1965 dal filosofo Richard Wollheim nell’articolo intitolato “Minimal Art”, all’interno della rivista Arts Magazine.

Il Minimalismo come stile di vita riprende in qualche modo l’idea di riduzione applicata sulla tela o durante la produzione di strutture plastiche ma la allarga: per i minimalisti è indispensabile possedere solo lo stretto necessario, ciò che per noi è essenziale. Dunque è indispensabile rimuovere il superfluo per concentrarsi su ciò che conta davvero.

Una filosofia in totale conflitto con il modello in cui siamo costretti a vivere fin dalla nascita: il consumismo. Tutti gli intervistati parlano della loro vita prima e dopo la conversione che non solo ha modificato profondamente le abitazioni in cui risiedono, i guardaroba che aprono quotidianamente e i desideri che esprimono ma che nella maggior parte dei casi ha permesso loro di ritrovarsi.
Tutte le persone intervistate, chi per un motivo chi per un altro, hanno avuto un momento di smarrimento. Per la maggior parte si tratta di business men a cui in un momento particolare della vita tutto è crollato: chi ha perso un familiare, chi ha contratto una malattia, chi semplicemente si sentiva collocato nel posto sbagliato e non trovava più appagamento in quello che faceva ogni giorno, nonostante quel traguardo gli fosse costato innumerevoli sacrifici.

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Le tematiche affrontate sono tantissime e sono snocciolate in modo semplice nei vari interventi. L’aspetto che ho preferito nella visione del film è che non c’è il desiderio di imporre questo nuovo lifestyle a nessuno. Ryan e Joshua girano gli States per far conoscere questo nuovo modo di approcciarsi alla vita, per far vedere l’effetto benefico che questo modello ha avuto sulle loro vite.

“Less is more” in un mondo che marcia esattamente sul binario opposto, che ci spinge a comprare tutto ciò che ci viene propinato quotidianamente dai principali mass e social media. Un mondo che, come racconta Ryan, ci sprona a lavorare tanto per guadagnare tanto e per poter consumare tanto. Un circolo vizioso da cui i Minimalisti sono riusciti ad uscire attraverso una sorta di Awakening (risveglio). Questo perché arrivano a considerare l’affermazione dell’essere predominante su quella dell’avere.

I Minimalisti spingono i propri interlocutori a ragionare su una vita con meno oggetti ma paradossalmente con più soldi, più tempo da dedicare alle relazioni e a ciò che ci fa star bene, caratterizzata da una continua crescita personale e da un maggior contributo alla società e all’ambiente che ci circonda.

Il messaggio ambientalista.

L’amore per l’ambiente non è il messaggio principale del film, è impossibile affermare il contrario, però viene citato diverse volte anche questo aspetto da alcuni esperti. Rinunciare allo shopping compulsivo (ma anche a quello frequente) ha inevitabilmente effetto sul mondo che ci circonda.

Se gran parte di noi mettesse in pratica, anche solo in minima parte, quanto raccontato da Joshua e Ryan nel film “Minimalism” metterebbe in crisi un intero modello economico e la nostra società, ma senza dubbio il nostro pianeta ne trarrebbe un gran giovamento. Scegliere uno stile di vita più essenziale comporterebbe la produzione di una minor quantità di cose e conseguentemente di rifiuti perché ci porterebbe a selezionare a monte ciò che ci serve e a conservare più a lungo ciò che di utile già possediamo.

Qui sta il fulcro del problema del minimalismo, ciò che più preoccupa gli ambientalisti, è l’approccio iniziale a questa tendenza. La necessità di liberarci di tutto ciò che è in eccesso, molto spesso gettandolo nella spazzatura. Ecco questo punto in particolare va nella direzione opposta a ciò che considero importante oggi per l’ambiente. Dunque se riteniamo che sbarazzarsi di tutto ciò che riempe le nostre case sia importante perché ci consente di affrontare la nuova sfida con più grinta penso che prima di conferire tutto nei bidoni sia possibile:

  • donare ciò che non ci serve più alle persone che ne hanno bisogno: penso ai gruppi facebook “Regalo se vieni a prenderlo” che si trovano in quasi tutte le Regioni italiane o alle numerose associazioni che aiutano il prossimo;
  • vendere presso i negozi dell’usato: io frequento spesso il Mercatino di Via Grossi a Torino, ma essendo un franchising troverete altre sedi in giro per l’Italia;
  • dare nuova vita agli oggetti. Ad esempio ultimamente mi capita di far modificare gli abiti da un sarto della mia città: le piccole modifiche che apporta attualizzano i modelli e mi permettono di continuare ad indossarli senza essere costretta a liberarmene.

Dunque sì al minimalismo ma con un’attenzione particolare all’ambiente soprattutto nelle prime fasi di approccio a questa nuova tendenza.

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“Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico sono necessari tre ingredienti: la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito, che ne fornisce i mezzi, e l’obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti, che ne rinnova la necessità”.
(Serge Latouche)